L’influencer marketing. Intelligenza artificiale, brand e creazione umana.

L’intelligenza artificiale (IA) e la creatività stanno sicuramente diventando sempre più interconnesse e promettenti per il futuro. L’IA è già utilizzata in molte applicazioni creative, come la generazione automatica di musica, visual, scrittura e molto altro ancora. Tuttavia, mentre l’IA può aiutare a generare idee creative e fornire nuove prospettive, la vera originalità e l’ispirazione umana rimangono ancora insostituibili. Alcuni esperti ritengono che l’IA possa fungere da strumento per potenziare la creatività umana, automatizzando compiti ripetitivi o fornendo suggerimenti e ispirazione. Altri vedono l’IA come una minaccia alla creatività umana, temendo che possa sostituire completamente l’input umano nel processo creativo. Io credo che il vero potenziale della collaborazione tra intelligenza artificiale e creatività umana risiede nell’approccio complementare, in cui l’IA supporta e amplifica le capacità creative umane anziché sostituirle. In sostanza una partnership più stretta tra intelligenza artificiale e creatività umana, dove entrambe le entità si integrano è quello che ci aspetta, nel bene e nel male.

Ma esisteste una vera opportunità per i brand? Più che di opportunità possiamo parlare di un’esigenza per i brand di definire in che modo convivere con l’intelligenza artificiale e scelta ancora più fondamentale riguarda il livello di libertà da lasciare alle persone di manipolare gli asset di proprietà dei brand. In un contesto di cultural remix l’applicazione di controlli più rigorosi sul copyright aiuterà a proteggere il valore della marca o alienerà ulteriormente i consumatori? Oppure, l’adozione di un modello di proprietà condivisa diventerà il nuovo obiettivo irraggiungibile?

Parlando di persone, le persone che vediamo online, che ci intrattengono, che ci spingono e influenzano i nostri acquisti, gli influencer, come stanno al passo? Prima l’influencer marketing era disciplina ad appannaggio di pochi, oggi viviamo in un’era di democratizzazione, è aumentato il tempo trascorso sui social e, grazie soprattutto a TikTok e la capacità di far viaggiare i contenuti organici con metriche ormai impensabili per le altre piattaforme, ci siamo ritrovati tutti (o quasi) creator.

Nell’era dell’economia dell’immaginazione dove, grazie all’AI, chiunque può potenzialmente generare o modificare qualsiasi tipo di output, come il Papa di Balenciaga che Pablo Xavier, un operaio edile di 31 anni di Chicago, ha generato grazie all’intelligenza artificiale, o l’utente anonimo dell’allora Twitter che ha condiviso l’immagine dell’esplosione al Pentagono, in realtà mai avvenuta, causando un calo del mercato azionario americano in soli dieci minuti, o Aitana Lopez, l’influencer “che non esiste” generata con AI. 

È indubbio che ciò porterebbe ad un’ulteriore frammentazione dell’attenzione del pubblico online e che i protagonisti del mondo dell’influencer marketing dovranno adeguarsi se vorranno rimanere rilevanti per le proprie community.

La domanda (e la scelta) da mettere in atto sarà, usare e sfruttare l’AI, come nel caso di Caryn Marjorie, influencer americana 23enne, che si è affidata alla tecnologia di Open AI per proporre un chatbot per conversare con tutti i propri follower al prezzo di 1 dollaro al minuto? Oppure rimanere volutamente più “umani” e distinguersi da una serie di contenuti online che, entro il 2026, secondo gli esperti fino al 90% potrebbero essere generato dall’intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale. E quella umana?

Prima di iniziare un articolo penso (poco) a che titolo dargli, questo era facile: L’intelligenza. Quella artificiale, …fatto, ma mi sono accorto che già 6 anni fa, nello specifico il 14 febbraio del 2016 stavo scrivendo un articolo con lo stesso tema, e soprattutto con lo stesso titolo: L’intelligenza. Quella artificiale. Era un articolo improntato molto al cambieremo, rivoluzioneremo, faremo, diremo ma rileggendolo fa molta impressione vedere che è successo esattamente quello che credevamo succedesse, ok che il lasso di tempo è di pochi anni ma fa comunque impressione.

Certo non era previsto un Papa vestito con una giacca oversize (ovviamente bianca), e l’ex presidente Donald Trump aggredito da agenti di polizia in tenuta antisommossa che cercano di arrestarlo, il presidente russo Vladimir Putin vestito nella tradizionale divisa arancione in una prigione dietro le sbarre o ancora Putin che si inginocchia e bacia la mano a Xi Jinping

Tutte immagini altamente dettagliate e sensazionali, che hanno inondato Twitter e altre piattaforme negli ultimi giorni, raccogliendo decina di milioni di visualizzazioni in tutto il mondo. Peccato che nessuna di queste fosse anche lontanamente vera e autentica. Le ha generate un’AI specializzata, Midjourney: poi alla diffusione ci avevano pensato i social media, su cui le immagini erano rimbalzate senza controllo.

Gli esperti di disinformazione avvertono che le immagini sono foriere di una nuova realtà, presente non più futura: ondate di foto e video falsi che inondano i social media dopo i principali eventi di cronaca e confondono ulteriormente fatti e finzioni in momenti cruciali per la società. Sebbene la capacità di manipolare foto e creare immagini false non sia una novità, gli strumenti di generazione di immagini AI di Midjourney, DALL-E e altri sono più facili da usare. Possono generare rapidamente immagini realistiche, complete di sfondi dettagliati, su larga scala, con poco più di un semplice messaggio di testo da parte degli utenti.

Con le immagini create dall’AI che diventano sempre più difficili da distinguere dalla realtà, il modo migliore per combattere la disinformazione visiva è una migliore consapevolezza e istruzione pubblica, affermano gli esperti. Tuttavia basta pensare al numero incredibile delle persone che condividono qualsiasi cosa passi sotto i loro occhi

Più realistico quindi pensare come Arthur Holland Michel, membro del Carnegie Council for Ethics in International Affairs di New York, che ha affermato di temere che il mondo non sia pronto per l’imminente diluvio. E non citiamo neppure le questioni etiche ancora irrisolte dell’AI: qui si parla si “stupidità umana“, la stessa che porta a diffondere e condividere un notizia, o una fake news, sulla base di una serie di pregudizi, o di politiche di parte, o per creare danno o confusione. Insomma sono tutte motivazioni molto ‘umane’, a cui l’AI ha solamente dato una mano, mettendo a disposizione di tutto uno strumento facile da usare. Sarebbe realistico pensare a queste masse che si fermano a riflettere: attenzione, questa immagine potrebbe essere un deepfake! Utopia.

La creatività. Cannes Lions 2022.

Dopo due anni di pandemia Covid torna la kermesse più attesa dal mondo dell’advertising. L’edizione 2022 dei Cannes Lions ha un’importanza tutta speciale: il Festival torna dal vivo, nel 2020 infatti il Festival era stato addirittura cancellato, mentre nel 2021 l’evento si era svolto solo virtualmente.

In questi due anni il mondo è molto cambiato: la pandemia innanzitutto, ma anche l’avanzare di tanti temi sociali come il Black Lives Matter, il MeToo, la violenza di genere, l’allarme ambientale e, da ultimo, la guerra in corso tra Russia e Ucraina, stanno cambiando profondamente il sentiment del pubblico, sempre più alla ricerca di una comunicazione pubblicitaria pregna di valori e purpose.

Naturalmente, questi temi sono stati presenti al Festival, così come anche lo speech del premier ucraino Zelensky. L’organizzazione dell’evento ha da subito preso posizione sul conflitto russo-ucraino, vietando l’iscrizione ai progetti russi e consentendo d’altra parte ai creativi ucraini di iscriversi gratuitamente al festival.

Ecco i progetti che più di altri mi hanno attirato la mia attenzione meritandosi i CuriousLions22!

Categoria Mobile

THE UNFILTERED HISTORY TOUR

Client: VICE

Agency: Dentsu Creative Bengaluru

Categoria Media

BACKUP UKRAINE

Client: UNESCO

Agency: Virtue WW New York

Categoria Titanium

LONG LIVE THE PRINCE

Client: Kıyan Prince Foundation

Agency: Engine London

Categoria Social & Influencer

THE FIRST META SNEAKER

Client: Under Armour

Agency: Berlin Cameron New York

Categoria Outdoor

NEVERENDING CHASE

Client: Affinity Ultima

Agency: Havas Milan

Categoria Brand Experience & Activation

HOMELESS IN THE METAVERSE

Client: Entourage

Agency: TBWA Paris

Categoria Social & Influencer

NON-FUNGIBLE ANIMALS

Client: WWF

Agency: Saatchi & Saatchi Düsseldorf

Categoria Digital Craft

MCEROE VS MCENROE

Client: Ab Imbev

Agency: FCB New York

Categoria Innovation

PLASTIC OFF

Client: Whirlpool

Agency: VMLY&R Mexico City

Categoria Direct

BURGER GLITCH

Client: Burger King

Agency: David Saõ Paolo

Social war. Il bombardamento social.

Mai avrei pensato di parlare di guerra all’interno di questo blog, così come in realtà mai avrei pensato di parlare di virus e pandemie globali ma tanté. Questi sono i tempi che viviamo ed essendo tutto iperconnesso, tutto si mischia e si fonde in questo calderone che è la comunicazione, il digitale e i social media.

Ma partiamo dall’inizio, nella mattinata del 24 febbraio 2022, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin annuncia un’operazione militare nel Donbass dando inizio a un’invasione armata dell’Ucraina.
Si tratta del primo evento bellico su suolo europeo dopo la guerra nella ex Jugoslavia. 

La pervasività dei social media è oggi a un tale livello che sui device di tutti, in un modo o nell’altro, anziani o giovani, utenti abituali o chi solo occasionalmente apre Facebook o Instagram, si è riversata una quantità impressionante di materiale arrivato direttamente dalle zone colpite dal conflitto senza precedenti perché, comunque, l’Ucraina è un Paese benestante, rapportato ad altre parti del mondo dove i massacri sono continui ma passano sotto silenzio perché nessuno o quasi ha uno smartphone che documenti quello che succede. Su TikTok, immagini strazianti di persone nei rifugi antibomba, terrorizzate e ammutolite; su Twitter, filmati ravvicinati delle esplosioni; su Instagram, storie che raccontano la guerra vista in prima persona da parte di chi non è un reporter, ma qualcuno che, dall’oggi al domani, ha dovuto abbandonare la sua casa per mettersi in salvo.

Dopo due anni dall’inizio della pandemia Covid-19 che ha messo a dura prova la popolazione mondiale in termini di benessere emotivo e ha reso incerto lo scenario politico ed economico, lo scoppio del conflitto in Ucraina ha comportato un ulteriore fardello sulla coscienza delle persone. Si registra un minimo storico nella capacità, da parte dei consumatori, di farsi carico delle grandi responsabilità che tengono in sospeso il destino della società e del pianeta. Responsabilità che, in questo contesto, vengono derogate a istituzioni e (sempre di più) a brand e aziende. 

In questo momento così complesso ed emotivamente difficile per la gente i brand si stanno tendenzialmente attivando in due modi, sostegno alla popolazione ucraina con raccolte fondi e attivando un boicottaggio del mercato russo.

Succede anche che alcune modalità di comunicazione delle iniziative risultino poco trasparenti e non forniscano le corrette informazioni alle persone così dar far passare l’autenticità dell’azione. Si parla in questi casi di Woke Washing, quando i brand sfruttano grandi temi di attualità e di discussione pubblica o mostrano un improvviso attivismo nei confronti degli stessi, ma lo fanno perlopiù più in maniera interessata.

Ci si muove ormai in uno scenario in cui la guerra è combattuta non solo sui social ma dai social. YouTube chiude i canali dei media governativi russi perché la sua politica “vieta i contenuti che negano o banalizzano eventi di ben documentata violenza”. Facebook permette i post di odio contro le truppe russe e Mosca risponde chiedendo che Meta venga considerata “entità terrorista”.

La Russia, un tempo maestra nell’arte della disinformazione con l’aiuto di eserciti di troll filo-Cremlino, è stata surclassata. Dall’inizio dell’offensiva di Mosca, video e post di e sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky sono diventati virali su Internet e il suo account Twitter è passato da 300.000 a più di 5ML di follower in pochi giorni.

L’oppositore russo Aleksei Navalny sollecita la formazione di un fronte unito globaledi “verità e informazione libera” contro Vladimir Putin “il criminale di guerra del Cremlino”, una vera e propria campagna di annunci sui social che la stragrande maggioranza dei russi, precisa, continua a usare. Una campagna “per schiacciare la macchina della propaganda di Putin”.

Più dell’85% degli adulti in Russia continua a usare YouTube, Instagram, Whatsapp, Google e Facebook ogni giorno. “Abbiamo bisogno di annunci. Di molti annunci. Una immensa campagna contro la guerra comincerà con questa campagna pubblicitaria”. Anche se la campagna viene pagata ai costi commerciali, sarebbe un costo infinitamente inferiore al prezzo di questa guerra”.

La creatività. Cannes Lions 2021.

Rieccoci qua, anche per noi il 2020 è saltato, ne siamo usciti migliori? Direi proprio di no. Quindi riprendiamo da dove ci eravamo lasciati, uguali a prima ma con tanta voglia di Croisette anche se questa volta senza party in spiaggia in cui imbucarsi e Gin tonic annacquati da 20€. Quest’anno forse c’è meno magia ma la creatività non ha deluso.

Dopo un 2020, che definire difficile per tutti è riduttivo, l’enorme circo di Cannes ha ripreso girare, anche se in streaming a causa delle restrizioni anti Covid.

I progetti presentati quest’anno sono stati più di 29mila, provenienti da 90 Paesi. Alcune iscrizioni concorrevano anche per i premi del 2020, ovviamente sospesi a causa della pandemia.

Da questa edizione del festival della creatività, l’agenzia Publicis Italy esce sicuramente da grande vincitrice, avendo fatto incetta di 30 Leoni e, prima volta storica per l’Italia, un Grand Prix, oltre che essersi aggiudicata anche il titolo di seconda agenzia più premiata dell’anno.

Tra tematiche attuali come la pandemia e l’inclusività  di genere, ecco i progetti che si sono meritati i CuriousLions21 😉

Categoria Titanium

STEVENAGE CHALLENGE

Client: Burger King

Agency: David Madrid

COURAGE IS BEAUTIFUL

Client: Dove

Agency: Ogilvy London

Categoria Brand experience & Activation

#GOEQUAL

Client: Go Equal movement

Agency: Africa São Paolo

Categoria Titanium

THE MOLDY WHOPPER

Client: Burger King

Agency: Ingo Stockholm

Categoria Digital Craft

ASTRONOMICAL

Client: Epic Games – Fortnite

Agency: Epic Games

Categoria Mobile

CITES

Client: Amazon Prime Video

Agency: Herezie Paris

Categoria Innovation

SICK BEATS

Client: Woojer

Agency: FCB Health NY

Categoria Social & Influencer 

THE UNCENSORED LIBRARY

Client: Reporter without borders (RSF)

Agency: DDB Berlin

Categoria Titanium

DREAM CRAZY

Client: Nike

Agency: Wieden + Kennedy Portland

Categoria Social & Influencer

BEE_INFLUENCER

Client: Fondation de France

Agency: Publicis Paris

Wellness. Sincronizzare la salute.

Dopo una prima ondata di brand che monitoravano il benessere generale delle persone, concentrandosi su cose come la salute della pelle, l’umore e i cicli di sonno, la nuova generazione di tecnologie sta mettendo in evidenza la salute ormonale come punto chiave per ottimizzare la forma fisica, imparando a sfruttare i benefici degli ormoni per potenziare i workouts dei loro utenti.

Ultimamente ad esempio Nike sta aiutando i suoi consumer a sfruttare la potenza dei loro periodi ormonali per ottimizzare la forma fisica. È del mese scorso la notizia che l’azienda ha lanciato the (Cycle)Sync workout sull’app Nike Training Club. La raccolta di allenamenti è progettata in collaborazione con la dottoressa Stacy Sims, esperta di fisiologia femminile e include allenamenti, consigli nutrizionali e suggerimenti di esperti adattati alle diverse fasi del ciclo mestruale.

Il fitness club londinese One LDN di recente sta anche insegnando alle persone come il fitness è influenzato dai cicli mestruali, lanciando all’inizio di quest’anno, The Curve un programma di otto settimane che biohackera gli ormoni per migliorare le prestazioni e il recupero. “Le oscillazioni ormonali hanno potenti effetti sul corpo femminile durante tutto il ciclo mestruale e influenzano direttamente i livelli di energia, la funzione muscolare e articolare, il metabolismo, la vulnerabilità agli infortuni, l’appetito, la qualità del sonno e persino la salute della pelle. Tuttavia, quasi nessuna donna considera questo normale periodo come una parte regolare del proprio programma di esercizi”, ha spiegato Evgenia Koroleva, fondatrice di One LDN.

Aavia aiuta le persone che hanno le mestruazioni a capire meglio il legame tra il ciclo e la forma fisica. La startup per la salute ormonale ha lanciato un’app gratuita nel gennaio 2021 che offre istruzione quotidiana e approfondimenti personalizzati, incluso il modo in cui i cicli mestruali e gli ormoni influenzano gli elementi della salute fisica come il tono muscolare e i livelli di energia.

Peloton rivolge la sua attenzione invece all’ostetricia e alla ginecologia. A febbraio, la società di fitness ha annunciato l’aggiunta di un ginecologo e uno psichiatra perinatale ai suoi contenuti in libreria per il wellness, aggiungendo così due nuovi importanti focus e dando una direzione netta al business dell’azienda. Le due nuove offerte commerciali puntano quindi l’attenzione sulla salute femminile, al momento del pre e post parto tutto all’insegna del fitness.

Tutte queste innovazioni, anche se non prettamente tecnologiche, indicano un’evoluzione del monitoraggio della nostra salute e riflettendo un crescente desiderio non solo di dati sulla salute individuale, ma di piani di fitness personalizzati e attuabili basati su tali dati.

Personalizzazione, wellness e gender equity sono le parole del futuro.

Covid-19. Comunicare coerenza.

Viviamo all’interno di un contesto storico mai visto prima, e non parliamo solo di comunicazione ma di qualsiasi forma di interazione tra esseri umani come l’abbiamo fino ad ora conosciuta.

Quello che prima era normale, ora non lo è più.

La pandemia da coronavirus sta inevitabilmente modificando le nostre abitudini, le persone sono costrette a restare chiuse in casa e i social media svolgono il duplice ruolo di strumento con cui informarsi e di strumento con cui restare in contatto con altre persone in cerca di quella socialità perduta.

I social sono quindi tornati quello strumento di connessione che hanno sempre, fin dal principio, promesso di essere.

I brand hanno l’occasione di trasformare la loro relazione con gli utenti, razionalizzando i momenti di contatto ed implementando nuove strategie di interazione che sfruttino appieno le tecnologie digitali. In questo clima di incertezza, l’abilità di essere rilevanti e prossimi al consumatore potrebbe permettere anche a brand emergenti di vincere la concorrenza, rinnovando modalità di comunicazione.

01

La nuova tipologia di comunicazione ha portato molte marche ad una corsa al messaggio più calzante, alla campagna più “vincente” ma la linea tra rilevanza e opportunismo è molto sottile: all’attualità della narrazione non può mancare empatia ed onestà. In questo caso l’equilibrio è fondamentale: sì ai messaggi positivi, ma equilibrati e che promuovano altrettanto la responsabilità collettiva e siano, soprattutto, affiancati da azioni concrete. 

Alcune delle domande da porsi prima di abbracciare uno dei tanti slogan di questa epidemia, che sia un #iorestoacasa o un #andràtuttobene, sono: come il mio brand riflette questi messaggi nel suo posizionamento?

O quale contributo può dare il mio brand in questo contesto e nel contesto che verrà? Oppure posso permettermi di dire andrà tutto bene se la mia azienda non produce nel rispetto degli standard di sostenibilità?

Andare in tv con lo spot e le parole “coraggio”, “ripartenza”, “orgoglio” e “grazie” montate a caso con tono epico sopra a delle immagini di vita quotidiana che ci mancano tanto, rischia di diventare una parodia della realtà.

02

Bisogna ridefinire i servizi, le modalità di contatto e lo storytelling, i brand hanno la possibilità di intrattenere un target potenzialmente più concentrato e meno bombardato da stimoli e rumori di fondo, di alleviarne le frustrazioni ponendosi come supporto e di manifestare in maniera forte e chiara la personalità più in linea con il loro posizionamento.

In questo momento, potrebbero essere proprio i brand a ricoprire quel vuoto accanto alla sfera più emotiva dei consumatori.

La morte della pubblicità. La pubblicità ovùnque.

Ogni tanto esce un articolo che dice quanto la pubblicità sia moribonda, se non del tutto morta e sepolta. La situazione non è così tragica come viene dipinta: lo sarebbe se si ignorasse il cambiamento che sta vivendo la società che ci circonda.

Qualcuno starà giustamente pensando che in realtà è sempre stato così, che il cambiamento c’è sempre stato e che non c’è niente di nuovo in tutto questo. Vero, verissimo, quello che va considerato è che mai come in questi anni il cambiamento è stato così rapido e così diffuso. Nel bene e nel male questo è favorito da internet e dagli smartphone. Oggi le persone hanno in mano un potere mai avuto prima, possono interagire, positivamente o negativamente, con i contenuti dei brand e ne possono fare quello che vogliono.

Per decenni la pubblicità è stata esattamente questo: era tra una pagina e l’altra di una rivista che stavamo leggendo, andava in onda nel momento clou del film che stavamo guardando in tv.

taglioAlta_00196

C’è sempre stato questo palinsesto predefinito, un palinsesto che gli spettatori potevano solo subire, l’unico grande potere che avevano gli spettatori era quello di poterne fruire di questi contenuti, accendendo o spegnendo la tv. Insomma, i contenuti erano confezionati e le finestre temporali per accedervi erano definite.

Internet ha preso questo modo di comportarci e l’ha buttato nel cesso.

Non siamo più noi a scegliere quando accedere ad un contenuto o quando vogliamo aggiornarci su quello che sta succedendo “la fuori”: il concetto di là fuori non esiste più, viviamo nell’era delle notifiche push, per non essere nel mezzo di questo flusso infinito di contenuti dobbiamo scegliere volontariamente di isolarci.

Può piacere o meno ma bisogna essere consapevoli che fare comunicazione oggi, significa sapere che le persone si comportano in maniera diversa, e si, odiano la pubblicità.

RJC__20130723_Active_SDTech_4780

Fino a qualche anno fa, quando un film veniva interrotto da uno spot, nella migliore delle ipotesi si cambiava canale e tutti amici come prima ma nell’attualità contemporanea, le persone non sono più disposte ad essere interrotte, non mentre scorrono il loro feed di Instagram o durante una conversazione su Messenger.

I social media ci hanno dato la possibilità di scegliere con quali brand interagire e quali ignorare, e questo comportamento si è diffuso anche al di fuori delle piattaforme social: questo significa che la pubblicità è finita? No, questo significa che la pubblicità intesa come “interruzione pubblicitaria” non è più tollerata, e le aziende che continueranno a perseguire questa logica saranno sempre più spesso considerate una scocciatura, o (ancora peggio) diventeranno invisibili.

Sia chiaro, “opportunità” non significa “responsabilità”: le aziende, per definizione, devono guardare al profitto, e abbracciare una causa non significa lasciar perdere il proprio business, significa anzi sostenerlo e sfruttare determinate tematiche per catalizzare attenzione e consensi. Non può essere considerata una cosa negativa, tranne quando viene fatto in modo del tutto forzato e senza azioni concrete che sostengano la presa di posizione.

La giostra dei social. Dati e creatività.

Sostenere che le marche dovrebbero abbandonare i social è l’ultima provocazione di Seth Godin, grande guru del marketing, opinione interessante e per certi versi condivisibile ma sinceramente credo sia eccessiva.

Io sono un brand, il mio lavoro è fare in modo che ci sia una relazione con delle persone che scelgono i miei prodotti e che abbraccino il mio modo di essere; e se le persone sono sui social, devo trovare il modo di entrare con discrezione in quella piazza, evitando il più possibile di essere troppo commerciale, perché il contesto non è adatto.

Schermata 2019-08-26 alle 21.22.09.png

Il modo migliore per farlo è creando e curando contenuti, oltre che collezionando e riproponendo quelli preesistenti, affinché le persone ne possano fruire.

Una marca deve avere la capacità di capirne le logiche ed entrare in punta di piedi, devi proporre contenuti rilevanti per l’audience, utilizzando anche i dati per capire quali sono.

Occhio alla coerenza però, bisogna sempre chiedersi se con quello che si dice o si fa si è coerenti. Ci vuole poco per aprire gli armadi e trovare scheletri, con la negazione di ciò che si è detto un attimo prima. Oggi la coerenza è tutto.

Il mondo della pubblicità è cambiato tantissimo perché il digitale ha reso tutto più misurabile. L’abitudine a misurare tutto ha creato un benchmark esperienziale nelle aziende cliente, per cui l’aspettativa è quella di aver un ROI su tutto.

Il digitale e i dati che ne derivano sono uno strumento, un canale utilizzato dalle persone per interagire tra di loro e con le aziende, un mezzo attraverso cui la creatività si deve esprimere nel mondo in cui viviamo.

Quando sei con il messaggio giusto, attraverso il canale giusto, di fronte alla persona giusta, poi gli dovrai pure dire qualcosa, e quel qualcosa è tipicamente quell’intuizione dell’essere umano.

e9c71550109321.58c7c18d3b710

Ma chiunque ignori il potere dei dati in favore della creatività è un pazzo. È uno che va a combattere con le armi della generazione precedente. Ti massacrano. Chiunque pensi che l’intelligenza artificiale, i dati, il machine learning, gli algoritmi prendano il posto degli esseri umani, è un pazzo a sua volta.

Dati VS creatività è una contraddizione in termini. L’uno è la manifestazione o la conseguenza dell’altro.

La creatività. Cannes Lions 2019.

Siamo nell’era del brand activism e a Cannes continua il trend visto negli ultimi anni, l’impegno sociale, la sostenibilità e l’experience. Queste le parole chiave del 67° Cannes Lions International Festival of Creativity.

Di sicuro non ha più futuro la comunicazione di pubblica utilità fatta solo per conquistare premi. Ormai tutto è Civil Advertising. L’ondata populista dimostra che i cittadini consumatori non credono più nella politica e nelle istituzioni. Il successo delle campagne con approccio civile, invece, evidenzia che gli stessi individui sono disposti a dare la loro fiducia a marche che siano capaci di prendere un impegno civile di valore forte e chiaro.

La crescita sociale dell’universo femminile è ormai un tema centrale nella comunicazione mondiale. La parità salariale è un obiettivo raggiungibile perché è economico. Aziende ed agenzie si stanno impegnando quotidianamente in questo senso. Il superamento degli stereotipi di genere è un obiettivo raggiungibile perché è culturale.

In Italia, e lo dimostrano anche i pochi riconoscimenti conquistati, c’è un gap non indifferente con la comunicazione ad alti livelli, è vero le agenzie rischiano poco ma è anche vero che il problema è più ampio. I brand in Italia hanno poco coraggio e il periodo in cui viviamo in questo paese li mette ancora di più all’angolo, dovrebbero esporsi ancora di più in questo momento e prendere decisioni che vanno al di là delle scelte di comodo, facili e che portano fatturati, bassi, ma sicuri.

Come dicevamo, pochi i premi per l’Italia ma soprattutto sono firmati tutti da una sola agenzia, Publicis Milano.

Ora, è difficile per tutti gli operatori nazionali prendere atto del fatto che l’unico hub creativo di livello internazionale sia quello di Bertelli. Ma la vera tragedia è che Bruno Bertelli è l’unico italiano che può ragionare con il titolo di Global Chief Creative WW e sopratutto, l’unico che negli ultimi anni ha realmente investito in creatività a differenza delle altre medie e grosse agenzie, infatti le idee di valore sono arrivate e credo che per i prossimi anni arriveranno più o meno solo da li.

Ma come ogni anno, ecco i progetti che si sono meritati i CuriousLions19  😉

Categoria Creative Data

THE TRAFFIC JAM WHOPPER

Client: Burger King

Agency: We Believers New York

 

Categoria Social & Influencer

KEEPING FORTNITE FRESH

Client: Wendy’s

Agency: VMLY&R Kansas City

 

Categoria Titanium

THE WHOPPER DETOUR

Client: Burger King

Agency: FCB New York

 

Categoria Creative Data

NO NED FLY AROUND THE WORLD IN GERMANY

Client: German Rail

Agency: Ogilvy Frankfurt

Categoria Mobile

BURN THAT AD

Client: Burger King

Agency: David São Paulo

 

Categoria Innovation

CHANGING THE GAME

Client: Microsoft

Agency: McCann New York

 

Categoria Mobile

INSTA NOVELS

Client: The New York Public Library

Agency: Mother New York

 

Categoria Direct

STREET-VET

Client: Purina

Agency: McCann Paris

 

Categoria Creative Data

THE TIME WE HAVE LEFT – CASE

Client: Pernod Ricard

Agency: Leo Burnett Madrid

 

Categoria Digital Craft

MOST DANGEROUS STREET

Client: Illinois council against handgun violence

Agency: FCB Chicago