La morte della pubblicità. La pubblicità ovùnque.

Ogni tanto esce un articolo che dice quanto la pubblicità sia moribonda, se non del tutto morta e sepolta. La situazione non è così tragica come viene dipinta: lo sarebbe se si ignorasse il cambiamento che sta vivendo la società che ci circonda.

Qualcuno starà giustamente pensando che in realtà è sempre stato così, che il cambiamento c’è sempre stato e che non c’è niente di nuovo in tutto questo. Vero, verissimo, quello che va considerato è che mai come in questi anni il cambiamento è stato così rapido e così diffuso. Nel bene e nel male questo è favorito da internet e dagli smartphone. Oggi le persone hanno in mano un potere mai avuto prima, possono interagire, positivamente o negativamente, con i contenuti dei brand e ne possono fare quello che vogliono.

Per decenni la pubblicità è stata esattamente questo: era tra una pagina e l’altra di una rivista che stavamo leggendo, andava in onda nel momento clou del film che stavamo guardando in tv.

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C’è sempre stato questo palinsesto predefinito, un palinsesto che gli spettatori potevano solo subire, l’unico grande potere che avevano gli spettatori era quello di poterne fruire di questi contenuti, accendendo o spegnendo la tv. Insomma, i contenuti erano confezionati e le finestre temporali per accedervi erano definite.

Internet ha preso questo modo di comportarci e l’ha buttato nel cesso.

Non siamo più noi a scegliere quando accedere ad un contenuto o quando vogliamo aggiornarci su quello che sta succedendo “la fuori”: il concetto di là fuori non esiste più, viviamo nell’era delle notifiche push, per non essere nel mezzo di questo flusso infinito di contenuti dobbiamo scegliere volontariamente di isolarci.

Può piacere o meno ma bisogna essere consapevoli che fare comunicazione oggi, significa sapere che le persone si comportano in maniera diversa, e si, odiano la pubblicità.

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Fino a qualche anno fa, quando un film veniva interrotto da uno spot, nella migliore delle ipotesi si cambiava canale e tutti amici come prima ma nell’attualità contemporanea, le persone non sono più disposte ad essere interrotte, non mentre scorrono il loro feed di Instagram o durante una conversazione su Messenger.

I social media ci hanno dato la possibilità di scegliere con quali brand interagire e quali ignorare, e questo comportamento si è diffuso anche al di fuori delle piattaforme social: questo significa che la pubblicità è finita? No, questo significa che la pubblicità intesa come “interruzione pubblicitaria” non è più tollerata, e le aziende che continueranno a perseguire questa logica saranno sempre più spesso considerate una scocciatura, o (ancora peggio) diventeranno invisibili.

Sia chiaro, “opportunità” non significa “responsabilità”: le aziende, per definizione, devono guardare al profitto, e abbracciare una causa non significa lasciar perdere il proprio business, significa anzi sostenerlo e sfruttare determinate tematiche per catalizzare attenzione e consensi. Non può essere considerata una cosa negativa, tranne quando viene fatto in modo del tutto forzato e senza azioni concrete che sostengano la presa di posizione.

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