Social war. Il bombardamento social.

Mai avrei pensato di parlare di guerra all’interno di questo blog, così come in realtà mai avrei pensato di parlare di virus e pandemie globali ma tanté. Questi sono i tempi che viviamo ed essendo tutto iperconnesso, tutto si mischia e si fonde in questo calderone che è la comunicazione, il digitale e i social media.

Ma partiamo dall’inizio, nella mattinata del 24 febbraio 2022, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin annuncia un’operazione militare nel Donbass dando inizio a un’invasione armata dell’Ucraina.
Si tratta del primo evento bellico su suolo europeo dopo la guerra nella ex Jugoslavia. 

La pervasività dei social media è oggi a un tale livello che sui device di tutti, in un modo o nell’altro, anziani o giovani, utenti abituali o chi solo occasionalmente apre Facebook o Instagram, si è riversata una quantità impressionante di materiale arrivato direttamente dalle zone colpite dal conflitto senza precedenti perché, comunque, l’Ucraina è un Paese benestante, rapportato ad altre parti del mondo dove i massacri sono continui ma passano sotto silenzio perché nessuno o quasi ha uno smartphone che documenti quello che succede. Su TikTok, immagini strazianti di persone nei rifugi antibomba, terrorizzate e ammutolite; su Twitter, filmati ravvicinati delle esplosioni; su Instagram, storie che raccontano la guerra vista in prima persona da parte di chi non è un reporter, ma qualcuno che, dall’oggi al domani, ha dovuto abbandonare la sua casa per mettersi in salvo.

Dopo due anni dall’inizio della pandemia Covid-19 che ha messo a dura prova la popolazione mondiale in termini di benessere emotivo e ha reso incerto lo scenario politico ed economico, lo scoppio del conflitto in Ucraina ha comportato un ulteriore fardello sulla coscienza delle persone. Si registra un minimo storico nella capacità, da parte dei consumatori, di farsi carico delle grandi responsabilità che tengono in sospeso il destino della società e del pianeta. Responsabilità che, in questo contesto, vengono derogate a istituzioni e (sempre di più) a brand e aziende. 

In questo momento così complesso ed emotivamente difficile per la gente i brand si stanno tendenzialmente attivando in due modi, sostegno alla popolazione ucraina con raccolte fondi e attivando un boicottaggio del mercato russo.

Succede anche che alcune modalità di comunicazione delle iniziative risultino poco trasparenti e non forniscano le corrette informazioni alle persone così dar far passare l’autenticità dell’azione. Si parla in questi casi di Woke Washing, quando i brand sfruttano grandi temi di attualità e di discussione pubblica o mostrano un improvviso attivismo nei confronti degli stessi, ma lo fanno perlopiù più in maniera interessata.

Ci si muove ormai in uno scenario in cui la guerra è combattuta non solo sui social ma dai social. YouTube chiude i canali dei media governativi russi perché la sua politica “vieta i contenuti che negano o banalizzano eventi di ben documentata violenza”. Facebook permette i post di odio contro le truppe russe e Mosca risponde chiedendo che Meta venga considerata “entità terrorista”.

La Russia, un tempo maestra nell’arte della disinformazione con l’aiuto di eserciti di troll filo-Cremlino, è stata surclassata. Dall’inizio dell’offensiva di Mosca, video e post di e sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky sono diventati virali su Internet e il suo account Twitter è passato da 300.000 a più di 5ML di follower in pochi giorni.

L’oppositore russo Aleksei Navalny sollecita la formazione di un fronte unito globaledi “verità e informazione libera” contro Vladimir Putin “il criminale di guerra del Cremlino”, una vera e propria campagna di annunci sui social che la stragrande maggioranza dei russi, precisa, continua a usare. Una campagna “per schiacciare la macchina della propaganda di Putin”.

Più dell’85% degli adulti in Russia continua a usare YouTube, Instagram, Whatsapp, Google e Facebook ogni giorno. “Abbiamo bisogno di annunci. Di molti annunci. Una immensa campagna contro la guerra comincerà con questa campagna pubblicitaria”. Anche se la campagna viene pagata ai costi commerciali, sarebbe un costo infinitamente inferiore al prezzo di questa guerra”.

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