L’influencer marketing. Intelligenza artificiale, brand e creazione umana.

L’intelligenza artificiale (IA) e la creatività stanno sicuramente diventando sempre più interconnesse e promettenti per il futuro. L’IA è già utilizzata in molte applicazioni creative, come la generazione automatica di musica, visual, scrittura e molto altro ancora. Tuttavia, mentre l’IA può aiutare a generare idee creative e fornire nuove prospettive, la vera originalità e l’ispirazione umana rimangono ancora insostituibili. Alcuni esperti ritengono che l’IA possa fungere da strumento per potenziare la creatività umana, automatizzando compiti ripetitivi o fornendo suggerimenti e ispirazione. Altri vedono l’IA come una minaccia alla creatività umana, temendo che possa sostituire completamente l’input umano nel processo creativo. Io credo che il vero potenziale della collaborazione tra intelligenza artificiale e creatività umana risiede nell’approccio complementare, in cui l’IA supporta e amplifica le capacità creative umane anziché sostituirle. In sostanza una partnership più stretta tra intelligenza artificiale e creatività umana, dove entrambe le entità si integrano è quello che ci aspetta, nel bene e nel male.

Ma esisteste una vera opportunità per i brand? Più che di opportunità possiamo parlare di un’esigenza per i brand di definire in che modo convivere con l’intelligenza artificiale e scelta ancora più fondamentale riguarda il livello di libertà da lasciare alle persone di manipolare gli asset di proprietà dei brand. In un contesto di cultural remix l’applicazione di controlli più rigorosi sul copyright aiuterà a proteggere il valore della marca o alienerà ulteriormente i consumatori? Oppure, l’adozione di un modello di proprietà condivisa diventerà il nuovo obiettivo irraggiungibile?

Parlando di persone, le persone che vediamo online, che ci intrattengono, che ci spingono e influenzano i nostri acquisti, gli influencer, come stanno al passo? Prima l’influencer marketing era disciplina ad appannaggio di pochi, oggi viviamo in un’era di democratizzazione, è aumentato il tempo trascorso sui social e, grazie soprattutto a TikTok e la capacità di far viaggiare i contenuti organici con metriche ormai impensabili per le altre piattaforme, ci siamo ritrovati tutti (o quasi) creator.

Nell’era dell’economia dell’immaginazione dove, grazie all’AI, chiunque può potenzialmente generare o modificare qualsiasi tipo di output, come il Papa di Balenciaga che Pablo Xavier, un operaio edile di 31 anni di Chicago, ha generato grazie all’intelligenza artificiale, o l’utente anonimo dell’allora Twitter che ha condiviso l’immagine dell’esplosione al Pentagono, in realtà mai avvenuta, causando un calo del mercato azionario americano in soli dieci minuti, o Aitana Lopez, l’influencer “che non esiste” generata con AI. 

È indubbio che ciò porterebbe ad un’ulteriore frammentazione dell’attenzione del pubblico online e che i protagonisti del mondo dell’influencer marketing dovranno adeguarsi se vorranno rimanere rilevanti per le proprie community.

La domanda (e la scelta) da mettere in atto sarà, usare e sfruttare l’AI, come nel caso di Caryn Marjorie, influencer americana 23enne, che si è affidata alla tecnologia di Open AI per proporre un chatbot per conversare con tutti i propri follower al prezzo di 1 dollaro al minuto? Oppure rimanere volutamente più “umani” e distinguersi da una serie di contenuti online che, entro il 2026, secondo gli esperti fino al 90% potrebbero essere generato dall’intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale. E quella umana?

Prima di iniziare un articolo penso (poco) a che titolo dargli, questo era facile: L’intelligenza. Quella artificiale, …fatto, ma mi sono accorto che già 6 anni fa, nello specifico il 14 febbraio del 2016 stavo scrivendo un articolo con lo stesso tema, e soprattutto con lo stesso titolo: L’intelligenza. Quella artificiale. Era un articolo improntato molto al cambieremo, rivoluzioneremo, faremo, diremo ma rileggendolo fa molta impressione vedere che è successo esattamente quello che credevamo succedesse, ok che il lasso di tempo è di pochi anni ma fa comunque impressione.

Certo non era previsto un Papa vestito con una giacca oversize (ovviamente bianca), e l’ex presidente Donald Trump aggredito da agenti di polizia in tenuta antisommossa che cercano di arrestarlo, il presidente russo Vladimir Putin vestito nella tradizionale divisa arancione in una prigione dietro le sbarre o ancora Putin che si inginocchia e bacia la mano a Xi Jinping

Tutte immagini altamente dettagliate e sensazionali, che hanno inondato Twitter e altre piattaforme negli ultimi giorni, raccogliendo decina di milioni di visualizzazioni in tutto il mondo. Peccato che nessuna di queste fosse anche lontanamente vera e autentica. Le ha generate un’AI specializzata, Midjourney: poi alla diffusione ci avevano pensato i social media, su cui le immagini erano rimbalzate senza controllo.

Gli esperti di disinformazione avvertono che le immagini sono foriere di una nuova realtà, presente non più futura: ondate di foto e video falsi che inondano i social media dopo i principali eventi di cronaca e confondono ulteriormente fatti e finzioni in momenti cruciali per la società. Sebbene la capacità di manipolare foto e creare immagini false non sia una novità, gli strumenti di generazione di immagini AI di Midjourney, DALL-E e altri sono più facili da usare. Possono generare rapidamente immagini realistiche, complete di sfondi dettagliati, su larga scala, con poco più di un semplice messaggio di testo da parte degli utenti.

Con le immagini create dall’AI che diventano sempre più difficili da distinguere dalla realtà, il modo migliore per combattere la disinformazione visiva è una migliore consapevolezza e istruzione pubblica, affermano gli esperti. Tuttavia basta pensare al numero incredibile delle persone che condividono qualsiasi cosa passi sotto i loro occhi

Più realistico quindi pensare come Arthur Holland Michel, membro del Carnegie Council for Ethics in International Affairs di New York, che ha affermato di temere che il mondo non sia pronto per l’imminente diluvio. E non citiamo neppure le questioni etiche ancora irrisolte dell’AI: qui si parla si “stupidità umana“, la stessa che porta a diffondere e condividere un notizia, o una fake news, sulla base di una serie di pregudizi, o di politiche di parte, o per creare danno o confusione. Insomma sono tutte motivazioni molto ‘umane’, a cui l’AI ha solamente dato una mano, mettendo a disposizione di tutto uno strumento facile da usare. Sarebbe realistico pensare a queste masse che si fermano a riflettere: attenzione, questa immagine potrebbe essere un deepfake! Utopia.